Dubbi sulla fotografia

La fotografia ha ragione di esistere? E’ una scomposizione del mondo in frammenti disgiunti l’uno dall’altro; legata al passato ma astorica, perchè bloccata in quel rettangolo di carta senza un messaggio intellegibile, oltre all’evidenza estetica che rappresenta; ridotta a collezionismo di istanti avulsi dal mondo a cui sono stati sottratti.
Sfruttata per ogni fine: commerciale, etico, scientifico, didattico, di intrattenimento, culturale. E’ possibile trarre qualcosa dalle fotografie che ci investono ai bordi delle strade, sulle riviste, dalle pareti? La bulimia del consumo d’immagini ha raggiunto l’assuefazione.
Roland Barthes analizza emotivamente il fenomeno, descritto come un personale mezzo per riconnettersi a sensazioni, sentimenti e stati d’animo della propria vita passata, o come veicolo per entrare in maniera irrazionale, propria dell’emotività, nel cuore di ciò che è fotografato. Ma sempre in maniera puntiforme, quasi come un’epifania, non certo un metodo o una pratica ripetibile a comando.
Susan Sontag, al contrario, sembra definire il potere della fotografia nella capacità di oggettivare quanto impressionato sulla pellicola, “impacchettandolo”.
Essa testimonia il divertimento provato in vacanza, di cui non v’è traccia senza fotografie, dimostra l’esistenza di oggetti, persone o l’accadimento di eventi. E’ la sconfitta della comunicazione orale,  con le sue sfumature, e del mito.
Il dubbio che mi arrovella è se sia il mezzo, o l’occhio con cui ne osserviamo gli esiti , a  farne uno strumento di voyerismo, un filtro all’esperienza e all’abbandono in essa.
Insomma ho aperto un blog su cui pubblicare gli scatti che preferisco, tra quelli che ho realizzato, ma sono in rotta con la fotografia: mi pare una gabbia, un limite, una sofisticazione della realtà.
E’ un aspetto che investe la fotografia commerciale, promozionale ed estremamente finalizzata, così come lo scatto d’arte. La prima sappiamo a cosa tende: stimolare acquisti, donazioni, curiosità per un evento o un prodotto; ma non vi prestiamo più attenzione. Quasi che compreso il meccanismo ci sentissimo immuni dall’effetto da lasciarlo comunque accadre, sicuri di non pagarne le conseguenze.
Nella fotografia con pretese artistiche o documentative avviene invece principalmente l’effetto di parcellizzazione della realtà. E questo mi sconvolge. Ci illudiamo che i nostri scatti migliori abbiano un senso e trasmettano qualcosa, mostrando invece un’ombra sulla parete, e nascondendo il soggetto che la proietta. Al più, forse, la fotografia  può avere un significato emotivo e personale. Ma ciò comporta la condivisione dell’opera come pratica inutile.

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