Author Archives: blackcat
Addio.
Addio nonna. Da un pezzo ormai di te era rimasta la forma del corpo. Il tuo spirito, smarrito, vagava chissà dove. Talvolta tornava un ricordo, spesso sollecitato, o una frase abituale riusciva a scavalcare il muro della malattia affacciandosi tra le pieghe della tua mente stanca e offuscata.
Non sono solo in casa, e ciò mi impedisce di piangere come dovrei e come sento che vorrei. Con te muore la mia infanzia, gli anni dell’asilo, dei gelati a 500 £ e delle sedie di ferro imbastite con la corda di plastica,era verde!, dei videogiochi al Bar Giardino, dei petardi e dei gavettoni attorno a casa, del frutteto ancora intatto, con le susine introvabili, delle buche scavate con Omar attorno a casa per catturare fantomatiche donne nude, del battuto di erbe e crusca tutte le mattine per le galline, odoroso di erba scottata, delle caramelle dalla Tullia di Calini, della favole della Delcisa, delle tue due favole a letto, del tuo grande letto dove la notte ti scalciavo sul bordo, del “prete e la suora” con cui me lo riscaldavi, della Pica, delle sere d’inverno con le noccioline e i giochi a carte con la famiglia, della stufa e dei pomodori e il coniglio che vi cuocevi nel forno, di tutti i Natale e Pasqua in parenti da te con i cappelletti in brodo, della colonia estiva in montagna dai frati, a cui non mancavamo mai assieme, dei pranzi a casa tua alle medie, le merendine nella credenza da anni ormai vuota, dei gomitoli di lana e dei ferri, dei tuoi calzettoni a maglia con cui scivolare, del pavimento lucidato a cera, del corridoio teatro di lunghi giochi con Mattia, di me che non volevo andare all’asilo ma stare a casa tua, degli innumerevoli fuochi che ho acceso nel tuo camino là fuori, di tutte le candele che ti consumavo, del mio primo furto a 4 anni: quei tre pacchetti di Big Babol che credo tu mi abbia costretto a restituire, di Romeo e della Lisa, di ‘Gusto e le sue galline, di Buorioli e la Cesarina, di Masini – il fruttivendolo col fischio-, del Billy, di quando andavi dalla Silvana e tornavi con la permanente e i capelli viola pallido, delle tre vecchine: le fornaie che cuocevano la migliore pizza del mondo, dell’uva spina e le more al confine, delle olive sotto sale che preparavi, di quando s’è fatto il vino e forse avevo solo 3 anni ma lo ricordo, di noi che andavamo alla Valle a camminare, dei casini con Danilo e Simone sempre nel tuo cortile, del campo da pattinaggio, del mio schianto in bici, delle tue patatine fritte con il Ketchup, del tuo frigo in cui ficcanasare, delle tazzine dove nascondevi le caramelle, della zia Maria dalla Spagna con Cavir, della carta moschicida di là da lei, di Rockfeller nell’uovo di Pasqua, della finestra in cucina dal cui infisso filtrava l’aria sulle mie dita intente a ricalcare le venature del marmo sottostante ogni mattina a colazione, della pensione che ti saccheggiavo, delle tue galline che molestavo, delle figurine panini che mi compravi, di te sempre convinta che 1000£ bastassero per un cono gelato sebbene ormai si fosse negli anni ’90, della Lambretta, del panorama dalla tua finestra dove ti soffermavi a lungo, delle pigne verdi nella stufa per poi mangiarne i pinoli. Ricordo da piccolo il funerale della nonna Bicia con il corpo esposto in casa e tutta la gente nella stanza. Solenne più che triste. Mi ha impressionato vederti riversa nel letto d’ospedale, con la bocca aperta e la fisionomia asciugata dalla morte.
S’è presa tutto. Questi ricordi cercano la forma viva del tuo corpo per avere sostanza. Mi mancherai e mi spaventa il viaggio che hai compiuto, il travaglio che forse hai vissuto, dentro di te, incapace di formulare parole di cui non coglievi più il senso e non servivano a descrivere la realtà. Questa sera mi sono accorto che tutti ti abbiamo guardato costantemente gli occhi negli ultimi mesi, per vaticinare bisogni e desideri. Quegli occhi scavati che non ho potuto osservare negli ultimi istanti e ho ritrovato chiusi.